Precollinear Park

Placemaking
nella città
di Torino

 

AREA DI INDAGINE

Ponte Regina Margherita, Corso Gabetti, Piazza Hermada
Torino, Italy

FOTO

Alessandro Guida

INTERVISTE E TESTI

Viviana Rubbo

ANNO

2021

IN COLLABORAZIONE CON

Torino Stratosferica

RINGRAZIAMENTI

Ringraziamo Luca Ballarini per aver accolto la nostra proposta di provare a raccontare il progetto di placemaking Precollinear Park, e aver reso possibile la sua realizzazione.

Un grazie speciale a tutti i collaboratori di Torino Stratosferica, ai volontari e alle persone che stanno trasformando un’idea di mondo in una realtà tangibile.
Grazie per averci dedicato generosamente il loro tempo, e regalato il piacere di condividere un pezzo di questa avventura.

IT

Con la regia di Torino Stratosferica, il progetto del Precollinear Park nasce come spazio di sperimentazione; un laboratorio per chi si occupa di città e rigenerazione urbana.

Il progetto è un’azione di placemaking. Dal suo avvio fino ad oggi, è stato capace di creare un universo fatto di iniziative, eventi, collaborazioni, sinergie, partenariati e duro lavoro sul campo, coinvolgendo una moltitudine di persone che condividono l’idea che sta alla base dell’intervento: la società urbana contemporanea ha bisogno di recuperare una dimensione ecologica; è il momento di restituire alla natura il suo spazio partendo dalle vaste aree dismesse che punteggiano le nostre città. Tutto ciò si può fare con risorse ridimensionate, collocate strategicamente e, soprattutto, con la partecipazione attiva della cittadinanza.

Gli ideatori del progetto, il team dell’associazione Torino Stratosferica capitanati dal fondatore, Luca Ballarini, ci lavoravano ormai dall’estate del 2020.  Passo dopo passo, mese dopo mese, hanno messo in moto un processo di svelamento di un luogo che ormai nessuno vedeva più. Per anni, chi aveva guardato il tracciato del tram, ci aveva visto solamente dei binari dismessi e pensiline abbandonate. Niente di più. 
Ma c’era di più. E loro, lo avevano visto. 

C’era un’idea: la visione era un parco lineare che scavalcava il Po sul ponte Regina Margherita,  attraversava corso Casale e guardava in su, dirigendosi verso piazza Hermada lungo il viale alberato di corso Gabetti. Un Parco che si innerva nella trama urbana abbracciando e aggregando  a sé quattro quartieri (Madonna del Pilone e Borgo Po verso la collina di Torino, a est del fiume, e Vanchiglia e Vanchiglietta, al di là). Poco meno di un chilometro di pace e verde, nel caos dei corsi torinesi.

Il progetto è un’azione tenace e coraggiosa di avvicinamento, riscoperta, riconquista e riuso di un tracciato del tram dismesso ormai da troppo tempo. Un’operazione di grande impatto sociale e umano che ha proposto un cambio di paradigma assegnando nuovi significati ad un terreno dimenticato per restituirlo temporaneamente alla collettività.

In un momento storico in cui l’emergenza sanitaria ha reciso i legami collettivi, stravolto la quotidianità e messo in discussione gli universi socio-economici e culturali del mondo urbano, il progetto di recupero di questi spazi, per riconsegnarli alla collettività, ha un valore eroico. 

EN

Under the direction of Torino Stratosferica, the Precollinear Park project was born as a space for experimentation; a laboratory for those involved in cities and urban regeneration.

The project is a placemaking action. From its inception until today, it has been able to create a universe where initiatives, events, new synergies, collaborations, partnerships and hard work have involved a multitude of people who share the idea behind this intervention: the present urban society needs to regain an ecological dimension; it is time to give back to nature its space starting from the vast abandoned areas that dot our cities. All this can be done with downsized resources, strategically placed and, above all, with the active participation of the citizens.

The minds behind this project, the team of Torino Stratosferica, led by the founder Luca Ballarini, had been working on it since the summer of 2020. Step by step, month after month, they have set into motion a process of unveiling a place that no one could see anymore. For years, those who had looked at the tramline had only perceived abandoned tracks and shelters. Nothing more.

But there was more indeed. And Torino Stratosferica had seen it.

There was an idea: the vision consisted of a linear park walking over the Po river through the Regina Margherita bridge, overpassing Corso Casale heading towards Piazza Hermada along the tree-lined avenue of Corso Gabetti. A park that branches the urban texture embracing and aggregating four districts (Madonna del Pilone and Borgo Po towards the Turin hill, on the east side of the river, and Vanchiglia and Vanchiglietta, beyond it).

Just a little less than a kilometer of peace and greenery, in the chaotic streets of Turin.

The project is a tenacious and brave action of approaching, rediscovering, recapturing and reusing a tramway that has been abandoned for too long. An intervention of great social and human impact that has proposed a paradigm shift by assigning new meanings to a piece of forgotten land turning into a temporary community park. 

In this historical moment in which the covid-19 emergency has severed the collective ties, distorted everyday life and questioned the socio-economic and cultural universes of the urban world, this project aiming at recovering an abandoned spot of the city to give it back  to the community, has a heroic value.

Il nostro lavoro – che ha seguito l’intervento dei volontari per tre sabati consecutivi nel maggio del 2021 - esplora il processo in atto e prova a raccontare il senso del recupero di quest’area.

Ne abbiamo ripercorso le intenzioni, il programma, gli ostacoli e le ambizioni attraverso una serie di interviste agli attori coinvolti, tra cui gli abitanti, i commercianti e l’amministrazione.

È un processo che vede, ogni sabato, materializzarsi il lavoro sul campo di un numero sorprendente di volontari per azioni di ripulitura, potatura, sfalcio, dissodamento, piantumazione, arredo urbano, verniciatura, insieme ad attività di animazione culturale e educativa. 

La metamorfosi di un luogo attraverso le voci e i volti dei protagonisti che sperimentano nuove forme di aggregazione, convivialità e reti sociali.

Our work - which followed the intervention of volunteers for three consecutive Saturdays in May 2021 - explores the process underway and tries to unfold the meaning of the recovery.

We retraced the intentions, the programme, the obstacles and the ambitions through a series of interviews with the actors involved, including the inhabitants, the local traders and the administration. It is a process where every Saturday, the work of an astonishing number of volunteers materializes for cleaning, pruning, mowing actions. , clearing, planting, street furniture, painting, together with cultural and educational animation activities.

The metamorphosis of a place through the voices and the faces of the protagonists who experiment with new forms of aggregation, conviviality and social networks.

Placemaking vem da comunidade, no sentido mais amplo da palavra. A chave è ter distintos stakeholders e todos os tipos de iniciadores para que eles compartilhem os seus sonhos [...]
Os lideres de placemaking são “loucos zelosos”, os visionários com um sentido de medo pouco desenvolvido.
Eles fazem o impossível acontecer.
— Fred Kent e Kathy Madden, Ruas como lugares, in "A cidade ao nível dos olhos"
 
 

La trasformazione
dello spazio

 

L’idea complessiva del progetto è molto articolata e ricca, ma si sta sviluppando per piccoli passi nei tempi che il budget e la disponibilità di energie e braccia volenterose consentono. In un primo momento, l’azione è stata circoscritta alla piazza Hermada (estate 2020) con eventi culturali e attività con le scuole, poi le operazioni di rinverdimento si sono estese al viale di corso Gabetti (inverno 2021) per poi scendere fino al ponte Regina Margherita, trasformando in realtà le intuizioni visionarie dell’ideatore, nonché fondatore di TorinoStratosferica (Luca), dei designer (Chiara) e dell’urban botanist (Alessandro); quest’ultimo sceglie le essenze e guida le operazioni di dissodamento, movimento terra e semina, man mano che si trovano fondi e braccia generose. La continuità e la perseveranza sono il punto di forza del progetto che, dopo 14 sabati di lavoro consecutivi, è riuscito ad aggregare e coinvolgere attivamente giovani volontari, abitanti, commercianti, associazioni e, non ultimo, le scuole del territorio, mantenendo un dialogo costante con l’amministrazione pubblica. 

È un progetto che rimette la natura al centro della città e assume una valenza sociale enorme: è opportunità di fruizione di uno spazio collettivo che torna ad essere piacevole da vivere.
È un luogo che nasce dalla volontà tenace delle persone, che dopo un anno privo di socialità, riscoprono l’alchimia delle relazioni umane.
È uno sforzo collettivo per chi crede nella città come idea, luogo di interazione e crescita culturale.

I lavori

Un intervento di paziente recupero e ricucitura dello spazio fisico, nonché delle trame sociali e del senso di comunità. I giovani (ormai una quarantina, tra 20-30 anni) si sono aggregati intorno al progetto attraverso il passaparola e una campagna Instagram molto ben riuscita. È nata una community che crede nel valore del progetto: la nascita di un parco urbano come gesto di cura e attenzione verso le cose, riscoperta della natura e della fatica del lavoro che ripaga, crea alleanze e intese di spirito. 

#Luca, ideatore e regista del progetto
Lidea era nella mia testa da molto tempo. Poi è arrivato il Covid-19 e il primo lockdown; allora ho pensato che fosse necessario avere un po’ più di coraggio e provare a fare qualcosa di concreto. C’era la prossimità e la fattibilità perché l’infrastruttura era già lì; poi l’aspetto umano, che è quello più bello; e la perseveranza.
Abbiamo avuto la costanza di occuparci di questo spazio e dire “no, noi non molliamo, perché dobbiamo occuparci del nostro spazio”. E questo ha dato la percezione che “ok, fanno sul serio”. 

#Silvia, volontaria
Quello che noi stiamo facendo è un esempio per le persone che non hanno fiducia nel cambiamento. Facciamo piccoli lavori: zappiamo la terra, seminiamo, piantiamo…. Quello che vogliamo è valorizzare questo luogo in modo che torni fruibili per tutti.

#Alessandro, urban botanist
Collaboriamo con le scuole elementari e medie perché questo spazio torni ad essere un parco da vivere, un luogo semplice ma meraviglioso. Il progetto ha risvegliato un pochino l’attenzione verso il valore che può avere un parco in una città, assegnando alla natura l’importanza che dovrebbe avere. 

#Beppe, abitante
Sono molti giorni che lavorano. Non capivo cosa stessero facendo. Ma adesso apprezzo molto il loro impegno e vengo qui a passeggiare tutti i giorni.

Le persone

“Con questo progetto stiamo sperimentando che si può cambiare il volto della città facendo partecipare i residenti, gli architetti, i cittadini.”

— Luca Ballarini, Torino Stratosferica

 

“In alcune giornate siamo 40-50 persone e allora è inevitabile che si creino delle relazioni umane, è bello. Sono nate delle amicizie. Far fare cose alle persone – ancor più se faticose, non è semplice. Invece qui c’è un entusiasmo generale che è  contagioso. 

Le persone hanno voglia di prendersi cura di qualcosa, e questo qualcosa è la loro città.”

—Daniele Vaccai, Torino Stratosferica 


  • È un’idea che coltivo da tempo, da quando vivo qui vicino. Osservavo questo spazio e pensavo “non ha nessun senso che sia abbandonato”.
    Ci tornavo ripetutamente e immaginavo la sua trasformazione.

    Poi è arrivato il Covid-19 e il lockdown: 2 mesi e mezzo di inattività.
    Da lì, la volontà di lavorare sulla città mi è sembrata una prospettiva nuova, bella. Era una reazione alla paura e alla chiusura. Una voglia di rinnovamento, misurandosi con qualcosa che non avevamo ancora fatto: entrare nella dimensione vera del fare la città, non solo immagini e idee.
    Da qui nasce il Precollinear.

    Un parco urbano fatto di terra, erba, semina. Non ci avevo mai pensato prima, ma delle tante cose di cui è fatta la città, il parco è la cosa più giusta: ci permette di guardare la città dal punto di vista dell’ecologia e di sperimentare un cambio di paradigma radicale nel linguaggio urbano: la condivisione, il prendersi cura delle cose, l’equilibrio e la dimensione umana.

    Se alcuni fattori chiave ci hanno aiutato a partire, la prossimità (è vicino allo studio di Torino Stratosferica) e la fattibilità dell’intervento (l’infrastruttura c’è già), è soprattutto l’alchimia che si è creata sul territorio che ci ha dato coraggio. Al nostro slancio “proviamoci”, hanno risposto i residenti, l’amministrazione, i cittadini e una incredibile e sorprendente marea di volontari (giovani, giovanissimi e adulti). È questa dimensione umana il risultato più positivo dell’intervento. Questa partecipazione sta materialmente cambiando il volto del quartiere, dimostrando che è possibile lavorare sulla qualità urbana con piccoli budget e il desiderio delle persone di far parte di un progetto civico che ci riguarda tutti, collettivamente.

    Un’altra cosa importante è stata la costanza. Di quello ci prendiamo il merito.

    Dopo gli eventi dell’estate 2020 che hanno permesso di presentare il progetto ai cittadini e di risvegliare l’attenzione su questo spazio, dal mese di marzo 2021 siamo al lavoro per trasformarlo. Da allora, siamo qui da 14 settimane, ogni sabato. Abbiamo concentrato tutto su questa giornata che ci permette di fare le cose insieme e in maniera organizzata. Siamo tanti, tantissimi: c’è il team di Torino Stratosferica, ci sono i volontari – sempre di più, ogni settimana – c’è il nostro Alessandro, giardiniere che gestisce gli ordini dei materiali e organizza il lavoro dei volontari; poi c’è la gente che ci osserva da un lato e l’altro della strada: c’è chi sta sponsorizzando materialmente il progetto, chi si è mobilitato per fornirci dei materiali, chi chiede un paio di guanti e si ferma per due ore, chi porta il caffè, chi domanda cosa stiamo facendo. Poi c’è la Città di Torino con cui siamo in costante dialogo rispetto all’avanzamento dei lavori, le circoscrizioni (prima due, poi quattro) le associazioni locali, i commercianti. Insomma, un mondo che rende possibile, passo dopo passo, quello che sta avvenendo: sta nascendo un Parco!

  • Abito in zona. Sono abbastanza legato al quartiere Vanchiglia e ho scelto di abitare qui.

    Una sera ho notato qualcosa di insolito: è apparso il container!
    Si apriva un piccolo bar per la festa inaugurale sul ponte Regina Margherita. Allora ho iniziato a seguirli e ho deciso di dare una mano. Da quella sera, sono tornato come volontario un paio di volte e poi ho pensato che, con il mio lavoro, potevo dare un contributo. Costruisco componenti metalliche e faccio verniciature, cosi abbiamo realizzato insieme i profili della passerella che sale verso il centro del viale di corso Gabetti.

    Credo molto in queste iniziative private. Tutti pretendiamo sempre dalle istituzioni pubbliche, ma poi, se c’è un pezzettino di carta abbandonato a terra, non lo raccogliamo.

    L’idea di usare il ponte come se fosse una piazza sospesa sul Po è incredibile!
    Io preferisco questa parte al viale. La trovo più esclusiva. Non capita spesso di trovare un ponte disponibile. È come un’isola in mezzo alla città che vive.

    Sono stati bravi. Nonostante il lockdown, hanno saputo catalizzare l’attenzione su questa parte della città e concretizzare la loro presenza in questo luogo.

  • Quando li ho visti la prima volta, non capivo cosa stessero facendo. Hanno messo dei paletti di legno e spostavano la terra…ora vengo a passeggiare qui tutti i giorni. Stanno facendo un lavoro magnifico!

  • Ho 22 anni. E abito qui vicino, nel quartiere Vanchiglia.

    Il mio rapporto con Torino Stratosferica è iniziato durante la tesi in Architettura che riguardava cinque progetti di placemaking per cinque diversi luoghi della città. Uno di questi era il Precollinear!

    Da qui, mi sono trovata a lavorare sull’identità visiva del progetto.

    La sfida era mantenere le linee guida della grafica di Torino Stratosferica (giallo e nero) trasformandole attraverso l’inserto di elementi che facessero capire il carattere urbano dell’intervento. Abbiamo realizzato il logo - che è il binario intrecciato che c’è tra piazza Hermada e corso Gabetti - e il font del carattere che si accompagna bene con l’intreccio del logo. Da tutte queste suggestioni, è partito il progetto grafico che identifica il Parco. Il primo vero passo di tutta questa operazione!

  • Ho 28 anni. Abito in un quartiere abbastanza distante da qui. Un giorno, passando vicino al ponte Regina Margherita, ho notato qualcosa di insolito: il container giallo!

    Mi ha incuriosito. Ho fermato l’auto e mi sono avvicinato.

    È così che tutto ha avuto inizio. E ogni sabato, dai primi di marzo, vengo qui come volontario.

    Nella vita faccio tutt’altro, ma voglio dare un contributo, perché condivido l’idea del progetto.

    Prima di tutto perché è un modo di conoscere altre parti della città che non sono il tuo quartiere e le zone che frequenti abitualmente con amici o colleghi. Poi perché era un luogo abbandonato che nessuno ha mai pensato di recuperare. E poi, perchè è un modo per ricominciare a recuperare una socialità.

    Devo dire che dopo un anno (febbraio 2020- febbraio 2021), quando eravamo di nuovo in zona rossa, poter venire qui il sabato è stato liberatorio...e motivante. All’inizio non conoscevo nessuno; ma anche questa possibilità di incontrare persone nuove con visioni diverse dalla mia, è un altro aspetto che mi ha convinto ad esserci. E poi, la fatica!
    Riscoprire il lavoro manuale, farti venire le vesciche e i calli, è una cosa positiva.

    È un gioco, un laboratorio di apprendimento e uno spazio in cui le persone riscoprono anche il piacere di vedersi e trovarsi.

  • Ho 22 anni. Studio Architettura e sono molto interessata a progetti di rigenerazione urbana che si realizzano con il territorio. Ho studiato a Genova, ma sono venuta qui a Torino per la magistrale.
    Un giorno, mi è capitato di passare dal ponte Regina Margherita e ho visto le pubblicità di Torino Stratosferica e ho scoperto che era possibile fare la volontaria. Mi è sembrata subito un’ottima idea.

    Il sabato vengo sempre di mattina. Mi piace.

    È stato importante avere un lavoro fisico da fare, soprattutto nel periodo in cui eravamo in zona rossa e tutto il resto della tua vita era virtuale. Il fatto di poter venire qui, muovere il corpo, stare all’aria aperta con altre persone, è stato fantastico!

    Il primo giorno ero un po’ a disagio perché ero da sola.

    Ho dipinto i pali di giallo con un altro ragazzo, Davide, e poi ci siamo messi a zappare la terra. Dopo poco l’imbarazzo iniziale si è sciolto ed è stata una bella giornata.

    Mi piace molto il progetto, trovo che sia una presa di posizione.
    E trovo molto bello che qualcuno riesca a mettere insieme le persone e dare vita ad un movimento di tale portata. Per questo voglio farne parte.

  • Ho 23 anni. Sono siciliana, originaria di Siracusa. Abito qui vicino. Studio cooperazione internazionale. Il mio vicino di casa mi ha detto che stavano cercando gente per aiutare a ripulire quest’area e così mi sono incuriosita. È da un mese che vengo, tutti i sabati.

    Sono arrivata a Torino ad ottobre del 2020.

    Mi piace venire qui, perchè mi riconosco in una motivazione comune: rendere questo luogo bello e fruibile.

    Spargo la voce e oggi non sono venuta da sola: ci sono con me due nuove persone!

  • Sono umbro, ho studiato lettere moderne e sono arrivato a Torino un anno e mezzo fa.

    Il mio lavoro è molto dinamico: mi occupo dei volontari, delle attività del Parco e della creazione dei contenuti editoriali.

    Credo nell’idea di città come luogo delle interazioni, della possibilità di vivere delle opportunità di scambio. In questo senso, questo progetto è sorprendente e ha assunto una valenza sociale enorme. C’è entusiasmo! Ci sono molte persone che ci credono. E questa è la sua forza.

    Dà l’opportunità, per chi vive nella zona, di fruire di uno spazio che ha una funzione e un’identità ed è piacevole da vivere. Nel momento storico che stiamo vivendo, dopo un anno privo di socialità, questo progetto offre una possibilità concreta alle persone di ristabilire dei legami e costruire delle relazioni.

    In alcune giornate arriviamo ad essere 40-50 persone e allora è inevitabile che si creino delle relazioni umane. È bello. Sono nate anche delle amicizie. È incredibile vedere persone che vengono qui da due mesi, e non mancano un sabato! Questo è uno dei dati più significativi!

  • Sono un architetto e lavoro con Torino Stratosferica dagli albori.

    La pandemia di Covid-19 è stata in effetti la molla di questa azione urbana. Tutti noi avevamo voglia di un progetto così.

    Corso Gabetti era uno dei fuochi su cui avevamo già da tempo deciso di soffermarci e che richiedeva un ripensamento. Oggi, più che mai, capiamo che la città ha bisogno di spazi pubblici e di nuovi luoghi da riscoprire all’aperto.

    Eravamo tutti d’accordo.
    Ma, potevamo concepire un progetto che lasciasse davvero qualcosa di concreto e fosse capace di restituire ancora di più alla città?

    Quella che era partita come una boutade, è diventata una cosa concreta.

    Le chaises-longues nascono dopo il disegno del parco. L’intervento nasce come un unico grande percorso che si sta realizzando per step successivi, man mano che si aggiungono fondi e braccia volonterose. Da un punto di vista progettuale, volevamo guidare lo sguardo del passante verso piazza Hermada – lassù in cima a corso Gabetti – attraverso una passerella – per poi suggerire idealmente un riavvicinamento tra i due quartieri separati dalla linea del tram con un percorso a zig-zag, come a ricucire una ferita. Da lassù, volevamo che si potesse apprezzare la lunghezza del viale e scorgere il ponte sul Po. Ma ci siamo resi conto in questi mesi che il Parco, per essere vivo, deve poter ACCOGLIERE. Abbiamo realizzato delle sedute funzionali (pallet gialli) velocemente realizzabili e a basso costo e poi, quando abbiamo trovato altri fondi, le chaise-longues comode per prendere il sole: c’era voglia di rilassarsi!

  • Ho 46 anni e sono un informatico. Qualche mese fa - era una pausa pranzo - lavoravo in smart-working. Mi sono affacciato al balcone e ho visto dei ragazzi che stavano facendo il brecciolino del vialetto, all’altezza della pensilina del tram.

    Era ormai da un anno ormai che, a causa del Covid-19, si stava sempre a casa, e ricordo che era una bella giornata: non ho esitato, sono sceso e ho chiesto “vi posso dare una mano?”

    Ora è il quinto sabato che partecipo ai lavori.

    Abito qui dal 2013 e non ho mai pensato che questo spazio potesse essere un’opportunità per le persone che vi abitano e per la città.

    È un momento di socialità ritrovata, un lavoro di squadra che mi piace!

  • Mi chiamo Paola e ho 28 anni, quasi 29. Marco è un collega del mio fidanzato. È lui che ci ha coinvolto.

    Sono un architetto e vorrei occuparmi di progettazione partecipata. Questa esperienza è la cosa che si avvicinava di più a quello che vorrei fare nella vita: realizzare uno spazio pubblico per, e con, la collettività. Penso sia fondamentale.

    Dedicare un po’ del proprio tempo per prendersi cura dei luoghi che abitiamo, che sono di tutti, mi sembra un piccolo gesto. Ma giusto.

    È nato un gruppo. All’inizio eravamo proprio pochi. Poi, di settimana in settimana, è stato un crescendo. Un appuntamento fisso.

    Tra me e il mio compagno all’inizio ero io che trainavo; adesso è lui che lo propone. Vuol dire che alla fine abbiamo creato qualcosa…per me è la vittoria più grande.

  • La mia famiglia ha una gioielleria in questo quartiere da 74 anni. Io sono nata e vissuta qui, da sempre.

    La vedi questa piccola cicatrice? Correvo qui, davo la mano a mio padre [quando sono caduta]. Questo era un viale alberato con tutte le panchine al centro e nell’ultima parte, i taxi, all’ombra ad aspettare.

    Allora non c’erano le transenne, né passava la linea del tram, che è arrivato solo una trentina di anni fa.

    L’arrivo del tram ha provocato un’interruzione del passaggio costringendoci a circumnavigare tutto il viale per passare da un lato all’altro. È stato traumatico, ma ormai sono passati tanti anni. Ora il tram non funziona più, ma le barriere sono rimaste, relegando questo spazio all’abbandono.

    Poi ad un certo punto, abbiamo visto spuntare i salotti e i salottini, i fiori sul ponte, e il giorno dell’inaugurazione sono tornata a passeggiare sul viale!

  • Vengo da Antalia, in Turchia. Ho 24 anni. Studio architettura qui a Torino.

    Ho notato questo progetto su Instagram e volevo trarne ispirazione per il mio studio di progettazione così ho preso un appuntamento con gli organizzatori per venire a vedere di persona. Poi ho deciso di tornare, per dare una mano!

    Mi piacerebbe essere un urban designer in futuro e mi piace l'idea dell'urbanistica tattica, il coinvolgimento della gente, e la possibilità che i residenti diventino parte attiva del progetto. Se progetti da solo, quello che realizzi potrebbe non essere importante per gli altri. Ma se lo fai insieme alla comunità, sarà poi la comunità stessa a volersene prendere cura. E questo può avere un impatto reale sulla città. Ecco perché mi interessa un progetto del genere.

    Sono venuto qui con 2 amici: un ingegnere e un architetto.

  • A partire dagli anni ’80 mi sono occupato di progetti di riqualificazione dello spazio pubblico. E in anni più recenti ho avuto modo di conoscere il lavoro e l’approccio di Torino Stratosferica. Così, quando hanno chiesto l’uso temporaneo di questo spazio per sottrarlo all’abbandono e restituirlo alla città, mi sono trovato subito d’accordo.

    Il tema era: come fare? Di quali strumenti disponevamo?

    Nonostante il tram non passi più di qui da molti anni, la Città ha ancora in progetto di riutilizzare questi binari con una nuova linea che dovrebbe arrivare fino in Piazza Toselli, appena oltre piazza Hermada. Questo, in termini di progetto. Ma di fatto, l’area, non più gestita da GTT, era in abbandono.

    Abbiamo quindi cercato di capire come inquadrare questa azione utilizzando un regolamento approvato di recente in cui, attraverso un partenariato pubblico-privato, il soggetto proponente prende in carico la manutenzione di una certa area.

    Per me è un’esperienza molto interessante. Si riesce in qualche modo ad utilizzare uno spazio che altrimenti sarebbe abbandonato, con una finalità che va oltre il recupero fisico e diventa INNOVAZIONE nel processo rigenerativo di un luogo.

    Sono anche sorpreso del fatto che siano riusciti a coinvolgere un numero di persone cosí consistente in un percorso di volontariato!

    Questa è una trasformazione che, benchè provvisoria, dimostra come molte aree delle città potrebbero essere utilizzate in questo modo. In un certo senso è un’esperienza pilota.

  • Mi sono trasferita in questa zona un paio di anni fa e, curiosando, ho notato che in questo nuovo spazio stava accadendo qualcosa. Mai avrei immaginato: tutti questi giovani che dedicano il proprio tempo per creare un parco pubblico! Non ho avuto dubbi, e
    ho deciso di sostenere i loro sforzi!

    È molto importante aiutare con un impegno diretto, ma visto che non ho molto tempo (spesso lavoro nei weekend), partecipo con un contributo economico. E poi, siccome lavoro per un’azienda che produce macchinari di incisione e marcatura, ho proposto di fare insieme la segnaletica!

    Ora vedo che hanno messo anche la cassettina dei libri. Ogni giorno si aggiunge un pezzo nuovo. È chiaro, l’energia positiva non manca.

    Mi piace, mi piace, mi piace!

  • Ho quasi 24 anni. Sono sarda, di Cagliari. Abito qui vicino, nel quartiere Vanchiglia.

    Sono venuta qui a settembre (2020) per iniziare la magistrale in Architettura dove ho conosciuto Luca che mi ha parlato del progetto.

    Per me è importante l’impatto delle scelte urbanistiche sullo spazio di vita delle persone. Quello che stiamo facendo come volontari, è un esempio per coloro i quali non hanno fiducia nel CAMBIAMENTO e nella possibilità di recuperare spazi che sono abituati a vedere incolti.

    Lo considero veramente un’occasione di crescita. Grazie a questo lavoro, ci conosciamo e ci avviciniamo a persone nuove. È uno spazio sociale, creato dalle persone e vissuto dalle persone.

    Può sembrare banale - alla fine spostiamo la terra, puliamo il prato, piantiamo - ma io credo che il risultato sia veramente forte: riportare alla luce uno spazio che è sempre esistito ma che è stato a lungo trascurato. Questo per me è fondamentale.
    Si attribuisce un valore nuovo ad un luogo che tutti vedono come perduto.

    Credo sia importante mettersi alla prova e uscire da quella mentalità del “sarebbe bello se…”.
    Penso si debba stare dentro alle cose, anche quando sembrano difficili, scomporle in piccoli elementi e rendersi conto che, se si lavora insieme, si può arrivare ad un buon risultato.

    Mi sento ottimista, motivo per cui continuo a tornare ogni sabato.

  • Ho 23 anni, vengo da Genova. Abito a Torino da quattro anni. Mi sono trasferita per studiare Architettura.

    Mi trovo qui come volontaria perché mi ci ha portato un’amica. Sono felice che lo abbia fatto. Mi piace molto perché è pratico e vedo subito il risultato dei miei sforzi.

    Ormai è il quinto sabato consecutivo. Sta diventando un’abitudine: mi sveglio e so che devo venire qui. Mi sento subito attiva e so che sto facendo qualcosa di utile. A me questa cosa migliora la giornata: il sabato è diventato il giorno in cui vado a fare volontariato e mi sento appagata.

  • Quando è partito il lavoro sul campo a fine febbraio (2021) c’erano cinque, sei, volontari. E la cosa che mi ha colpito di più è che queste cinque, sei, persone hanno continuato a venire e, a loro volta, hanno portato un amico, a formare uno zoccolo duro di volontari che tornano ogni sabato. E ogni settimana, con gente nuova. E ogni sabato, mi devo inventare cosa fargli fare in modo che ognuno possa fare la sua parte e, pian piano, si va avanti col lavoro. 

    È un progetto dal forte valore civico. La partecipazione e la risposta che abbiamo trovato, l’allegria che i volontari portano in un lavoro di per sé anche faticoso, è quello che colpisce più di tutto. 

    Oggi piove, è il 1° maggio. Ma siamo una trentina!

    Questa cesura è come il Muro di Berlino: il nostro intento è restituire questo spazio alla città e riunire i due borghi Borgo Po e Madonna del Pilone, oggi, a tutti gli effetti, irrimediabilmente divisi. 

    Il lavoro è tanto: abbiamo spalcato gli alberi del viale per liberare il cono ottico, piantato dei fiori lungo le bordure dello spazio sul ponte, sulle pensiline, e stiamo creando delle nuove aiuole.

    Vedi il Parco è un luogo semplice con un potenziale enorme, meraviglioso. Questa emergenza ci ha aiutato a riassegnare alla Natura l’importanza e il posto che dovrebbe avere nella nostra vita veramente. 

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